giovedì 7 aprile 2011

Incastrata nel nucleare

E' più di una settimana che vorrei scrivere perbene qualcosa di quelle che penso sul nucleare, soprattutto di come viene affrontato qua. Il risultato è che non ho più scritto un bel niente.
Così, per sbloccare questa empasse, mi limiterò a due incisi su cose che ho fatto, e che continuano a girarmi per la testa.

La prima è una intervista a Marc de Cort, che al CCR di Ispra segue il monitoraggio della radioattività in Europa, e che non sa più come spiegare che gli effetti della radioattività di Fukushima qui sono risibili.
Le notizie che ho poi sentito nei giorni dopo, come quella dei bimbi di Roma che non vanno più in giardino a scuola per colpa della paura della centrale giapponese, mi sono sembrate un insulto nei confronti dei reali pericoli che corrono i cittadini che vivono nel raggio di interesse intorno a Fukushima, gli unici veramente tenuti ad avere paura. E le ho considerate anche una spaventosa dichiarazione di ignoranza scientifica, che fa convivere il disprezzo per l'inquinamento che non stiamo controllando qui e le paure infondate su quel che arriva "da fuori".

La seconda è il video che ho realizzato all'interno del reattore nucleare di Ispra. Che è stato chiuso nel 1999, ma che verrà smantellato definitivamente intorno al 2030, cioè 30 anni e 20 milioni di euro dopo.  Decidere di passare al nucleare non è una scelta da cui si può pensare di tornare indietro: perchè tornare indietro è molto più faticoso che iniziare. Pochi giorni dopo, ho ascoltato su Radio Popolare Sylvie Coyaud che ricordava come lo smaltimento di ciò che resta di Chernobyl non sia nemmeno iniziato: qualunque mezzo per iniziare a farlo costa troppo per i paesi su cui oggi insiste il reattore. Notizie a dir poco scoraggianti.

Rifiutare il nucleare "per partito preso", però,  è quasi impossibile: l'energia che utilizziamo non può essere fornita dalla tecnologia attuale sul sole o il vento,  e la geotermia o altri sistemi fanno solo risparmiare l'energia che serve, non la sostituiscono.

E allora? E allora non so. Penso solo che affrontare queste questioni da ignoranti o guidati solo dalle emozioni ancestrali, senza voglia di capire di più, alimenta solo il tifo da stadio. Che non fa bene nemmeno negli stadi, figurarsi nei laboratori di ricerca.

Nessun commento:

Posta un commento